Le storie generali della letteratura cinese sono a tutt’oggi piuttosto rare, un genere la cui nascita recente sia in Cina che in Occidente. In Italia per ritrovare una trattazione di carattere generale bisogna tornare indietro di più di trent’anni risalendo a quelle di Giuliano Bertuccioli (1959) e di Lionello Lanciotti (1969). L’edizione italiana della Chinese Letterkunde di Idema e Haft viene a colmare un vuoto trentennale e rappresenta un evento significativo non soltanto per l’ampiezza dell’arco cronologico considerato che include gli sviluppi e gli autori più recenti fino agli anni ’90, ma anche, e soprattutto, per la novità del taglio e l’originalità della prospettiva metodologica. Muovendo dal peculiare statuto della scrittura nella civiltà cinese la scrittura di testi un aspetto del comportamento, anzi il comportamento. Un testo un atto, un fatto il volume si organizza per generi, e dedica spazio, oltre alle forme più illustri e più note, a quelle ascrivibili alla tradizione popolare e alla letteratura orale. Abbandonando la tradizionale ripartizione cronologica per dinastie, assume come cesure significative i mutamenti nelle condizioni materiali di produzione e circolazione dei testi, e la periodizzazione viene così ad articolarsi dagli esordi della scrittura all’invenzione della carta, dall’introduzione della stampa all’evento delle sue tecniche moderne. Già al suo primo apparire, nel 1985, quest’opera stata accolta come una pietra miliare nel settore, sia per l’ampiezza dell’arco di tempo coperto, sia per il nuovo e interessante taglio metodologico, e la vastità della bibliografia che da sola costituisce uno dei principali punti di interesse del volume. Se pur nata come (eccellente) strumento didattico, la storia di Idema e Haft assolutamente godibile anche da parte del lettore non specialista, grazie anche all’abbondanza di riferimenti comparativi alle teorie letterarie occidentali.