La storia

da più di cinquant'anni uno sguardo al mondo accademico

«(…) Il libraio deve saper ascoltare il lettore. Sottolineo: lettore, non cliente. La libreria deve essere un servizio complessivo. Quella del libraio con i lettori è una conversazione continua, ininterrotta».

La Cafoscarina è nata come cooperativa negli anni sessanta, quando l’università si stava trasformando e stava diventando aperta a tutti. Il libro era cruciale anche dal punto di vista economico. Iniziava un nuovo approccio allo studio e bisognava trovare nuove forme di divulgazione del saper e perciò della vendita dei libri. All’epoca, la sede della libreria, interna a Ca’Foscari, nemmeno aveva una vetrina. Ci inventammo una specie di bacheca, dove mettevamo le nostre proposte sia di narrativa che di saggistica. Davanti a quella bacheca nascevano dei veri dibattiti. È stato un periodo di grande fermento, nelle università», dice Chinellato, «e la Cafoscarina diventò subito un punto di riferimento.

La presenza della facoltà di lingue la fece diventare una libreria internazionale e ciò fu possibile grazie al grande contributo di uno dei primi librai di Cafoscarina, Billy Lamarmora, da decenni libraio storico a Mestre, alla Don Chisciotte». E infatti era una splendida avventura, per noi studenti, ordinare libri in lingua. Li si aspettava per settimane, e quelle attese avevano molteplici significati, soprattutto quando il volume che aspettavi era una tua scelta, estranea alle bibliografie per gli esami. Pregustavi la scoperta, ti chiedevi di tutto, riguardo a quel libro, a quell’autore. E, se si trattava di una novità, non avevi alcun modo, nel frattempo, di informarti, di approfondire, mica c’era google. Le scoperte erano davvero delle illuminazioni, a volte. E spesso la suggestione arrivava direttamente dai librai della Cafoscarina. «Uno delle caratteristiche è sempre stata quella di non essere soltanto una libreria universitaria.

Abbiamo sempre proposto, consigliato, fin dai primi anni, creando così un rapporto con gli studenti-lettori. E capita spesso che qualcuno di loro, ripartito per chissà dove, quando torna a Venezia passi a salutare i suoi amici librai». Un punto di riferimento, dunque, la libreria, e lì dentro, oltre agli studenti, ai docenti, fra gli scaffali ci potevi trovare Paolo Barbaro, Daniele Del Giudice, Enrico Palandri. Più di recente Tiziano Scarpa e Andrea Molesini. E la conversazione ininterrotta continuava e continua anche con loro. Una libreria che ci ha formato, sedotto, spinto, arricchito. Roba sempre più rara, oggi. «Ricordo i miei primi tempi in libreria, quando arrivavano le lettere da editori come la Cambridge University Press, o la Faber & Faber, l’emozione, per me che ero studente e libraio allo stesso tempo. In quegli anni in molte città italiane nacquero cooperative come la nostra, con le quali iniziammo subito a collaborare e che però sono sparite negli anni, ciascuna per motivi differenti. Ed è un peccato».

I librai si trovano oggi nel mezzo di un cambiamento epocale, quello che riguarda l’ebook, il libro digitale: «Non ho nulla contro il digitale. Del resto, in tutta sincerità, non c’è motivo, oggi, perché la carta debba per forza avere il sopravvento. Si tratta solo di saperlo leggere, questo mutamento, saperlo interpretare senza lasciarsene travolgere». (…)

Roberto Ferrucci

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